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Il quartiere

Il quartiere Diamante, conosciuto anche come la zona collinare di Begato, si trova nell’alta Valpolcevera in un’area circoscritta tra le delegazioni di Bolzaneto, Teglia e Rivarolo. 

Il quartiere, a Genova ma anche sul piano nazionale, è conosciuto, soprattutto, come luogo simbolo dell’Edilizia Residenziale Pubblica (E.R.P.) e metafora del concetto stesso di periferia, data la presenza, per circa 40 anni, della Diga di Begato – composta in realtà da due blocchi edilizi, la Diga Rossa e la Diga Bianca – costruita negli anni Ottanta e il cui processo di demolizione, avviato nel 2020, ha avuto la durata di circa un anno. I due palazzi contavano 19 piani ciascuno ed erano in grado di ospitare circa 3.500 inquilini. A completare l’immagine del quartiere pochi esercizi commerciali, in particolare un discount, un bar, una farmacia e una tabaccheria.

La costruzione della Diga di Begato avvenne a compimento di un progetto urbanistico ben più articolato e complesso, che ha preso avvio negli anni ‘60 e che è stato sin da subito ufficialmente denominato “quartiere Diamante”, dal nome del forte che sovrasta la vallata.

Tale progetto risale al 1965, quando con la variante locale del Piano nazionale delle “Aree 167” per l’Edilizia Residenziale Pubblica si decise di insediare sui rilievi collinari che circondano le alture comprese tra la Valpolcevera e il centro di Genova una popolazione di circa 70.000 persone. Nel dettaglio, il progetto, profondamente influenzato dalle previsioni di crescita della popolazione oltre il milione di abitanti, dato il boom economico e industriale che stava vivendo la città in quel periodo, prevedeva di urbanizzare tutte le colline genovesi fino al limite, rappresentato dalla cinta dei forti.

Tuttavia, negli anni ‘70, la crisi industriale, stabilizzò la popolazione di Genova, rendendo obsoleta l’idea di urbanizzazione massiva su cui si basava il progetto. 

Per questo motivo, il Piano Regolatore Generale del 1976 limitò l’applicazione del progetto urbanistico a poche aree, la principale delle quali fu proprio Begato, che fino a quel momento era stata una collina boscosa della Valpolcevera, luogo di villeggiatura popolato da una comunità prettamente contadina dedita alla coltivazione di prodotti di pregio della campagna.

L’insediamento della nuova zona 167 di Begato avrebbe dovuto dare alloggio a 21.000 persone, il 40% della popolazione della Valpolcevera di allora, e la realizzazione dell’area fu piuttosto rapida, tant’è che nel 1980 gran parte degli edifici furono completati.

Il modello cui si ispirava l’insediamento era quello, allora in voga, della “città radiosa” formulato da Le Corbusier, che prevedeva grandi unità di abitazione modulari, teoricamente dotate di negozi e servizi interni, immerse in ampi spazi verdi e dotate di un’infrastruttura stradale utile sia agli spostamenti interni sia al collegamento con il resto della città.

La realtà si mostrò sin da subito molto diversa rispetto all’idea di progetto e agli elaborati realizzati: gli edifici, realizzati con sistemi edilizi industrializzati e prefabbricati a basso costo, si dimostrarono già agli inizi costruzioni di dubbia qualità; molte attività commerciali previste non furono mai avviate; i servizi proposti con il piano non furono istituiti nè all’inizio nè in un secondo momento; il parco urbano circostante si trasformò in breve tempo in un’area ad elevato stato di degrado; la strada di collegamento tra i blocchi edilizi si configurò sin dal principio come uno spazio asfaltato privo della dimensione di servizio ed utilità sociali che caratterizza, generalmente, le strade di quartiere.

In particolare, il progetto vide la costruzione della Diga di Begato, che era costituita da due imponenti costruzioni, comunemente denominate Diga Rossa e Diga Bianca per il colore dei rivestimenti, che, proprio come una diga idrica, tagliavano la vallata da Est a Ovest, dando la possibilità, grazie ad alcune passerelle pedonali sospese a mezz’aria e colleganti i due blocchi, di passare da un versante all’altro senza mai uscire dall’edificio. Il complesso ebbe un forte impatto ambientale e paesaggistico, ostruendo completamente l’orizzonte.

Tra i motivi per cui la Diga venne costruita vi era, oltre alla necessità di rispondere alle previsioni di crescita della popolazione, la necessità di ospitare, per un periodo limitato, un alto numero di famiglie del centro storico soggette a processi di sfratto. Quella che avrebbe dovuto essere una residenza temporanea divenne, tuttavia, a tutti gli effetti, una residenza stabile per tali famiglie. A questi primi inquilini, nel corso del tempo, se ne aggiunsero di nuovi, in seguito alle varie assegnazioni di alloggio popolare che si sono succedute nel tempo, che prevedevano sistemazioni a canoni di affitto calmierati.

Questo tipo di concentrazione sociale, unita al fallimento da subito evidente del modello architettonico-urbanistico adottato, rese Begato luogo simbolo dell’Edilizia Residenziale Pubblica (E.R.P.) e metafora del concetto stesso di periferia.

La demolizione della Diga di Begato è avvenuta per fare spazio ad un progetto di rigenerazione urbana dell’intera area, “Restart Begato”, che prevede la costruzione di palazzi ad alta efficienza energetica, aree verdi, spazi dedicati alla cultura, un’area di sosta panoramica, una nuova piazza, percorsi nel verde e una nuova Casa della Cultura.